I pascoli comunali

La regolamentazione degli usi civici dei pascoli comunali è un problema complesso, che abbraccia tematiche di tipo zootecnico, ambientale (deterioramento dei suoli per eccesso di carico animale, erosione, desertificazione ecc.) e sanitario (es. pesti suine, ma non solo), inserite in un contesto di rapporti sociali e di aspettative di sviluppo locale molto particolari.
L'utilizzo in comune delle terre pubbliche è una tradizione che in Sardegna si perde nella notte dei tempi, e che ha resistito nei secoli a tanti tentativi di cambiamento: il famoso Editto delle Chiudende, che dava facoltà di impossessarsi delle terre di proprietà pubblica a chiunque le recintasse, è passato a suo tempo completamente inosservato in molti paesi montani, i quali hanno continuato a mantenere le antiche pratiche di allevamento in terre comuni.
Nelle zone montane della provincia di Nuoro, molti comuni hanno grandi estensioni di terre di proprietà pubblica; di questi terreni pubblici una parte consistente è assoggettata alla normativa sugli usi civici. La normativa in vigore (L.R. n. 12 del 14.03.1994) recita che "Gli usi civici, intesi come diritti delle collettività sarde a utilizzare beni immobili comunali e privati.... appartengono ai cittadini residenti nel Comune nelle cui circoscrizioni sono ubicati gli immobili oggetto d'uso". Tale normativa prevede una serie di vincoli, volti a far sì che l'usufrutto dei terreni e degli immobili non pregiudichi l'appartenenza dei terreni alla collettività. Di conseguenza, da secoli i cives esercitano in tali terreni i diritti di erbatico, legnatico e (di particolare importanza per i suini) di ghiandatico, secondo forme di sfruttamento comune. In tali forme di sfruttamento, le eventuali recinzioni e le costruzioni in muratura sono viste negativamente sia dall'opinione pubblica e dalla tradizione che dagli amministratori locali, che paventano forme di appropriazione indebita da parte dei singoli cittadini. Ne deriva la notevole difficoltà logistica nell'adottare sistemi di allevamento razionali e compatibili con un accettabile livello di biosicurezza, riferito alla lotta alle pesti suine.

Introduzioni dolose
Il sistema di indennizzi in seguito a focolai di malattie infettive in Italia è regolata dalla Legge n.218/88, che prevede in sostanza il diritto all'indennizzo da parte dell'allevatore del 100 per cento del valore degli animali abbattuti, calcolato sulla base del bollettino Ismea del mercato di Modena (Fig.1).
I valori Ismea, che sono da considerarsi congrui nei confronti di animali allevati in un allevamento di tipo industriale, possono in alcuni casi rivelarsi eccessivi rispetto al valore di animali di tipologia rustica, allevati in allevamenti non professionali; la tipologia di allevamento, prevalentemente indirizzato alla produzione di suinetti da latte, fa sì che la maggior parte dei suini adulti presenti siano indennizzati come riproduttori e come tali di maggior valore rispetto a quelli da ingrasso. In tali casi, la possibilità di realizzare un certo ricavo dagli indennizzi può teoricamente costituire un incentivo per introdurre dolosamente la malattia nei propri allevamenti a fini speculativi.
In particolari situazioni contingenti - come crisi di mercato nella vendita dei suinetti, crisi contemporanea del comparto ovino - si sospetta che questo meccanismo possa aver giocato un ruolo importante nel determinismo di alcuni focolai.

Movimentazioni incontrollate
A prescindere dal dolo, il fattore umano gioca un ruolo importante anche in un contesto di negligenza dovuta a scarsa professionalità nella conduzione aziendale. In un contesto di allevamento non professionale, le movimentazioni e gli scambi di suini in assenza delle autorizzazioni sanitarie costituiscono un importante elemento di rischio: scambi di verri o scrofe per accoppiamenti, regali tra amici o parenti, vendita di giovani riproduttori, sono un pericolo reale, spesso all'origine di focolai. Nonostante i numerosi incontri tra i servizi veterinari e le forze dell'ordine, gli spostamenti clandestini di suini sono tuttora un fenomeno di difficile controllo. Il ruolo del cinghiale nel determinismo dei focolai di malattia, che costituisce un argomento di indubbio interesse, sembra rivestire in Sardegna un'importanza secondaria. Da questo punto di vista, sembra che in Sardegna non si presenti frequentemente il meccanismo osservato in altri paesi dell'Europa continentale, dove la maggior parte dei focolai di peste suina classica deriva da contatti col selvatico. Al contrario, sembra che più spesso il cinghiale subisca passivamente il contagio per effetto del contatto con i suini al pascolo brado abusivo. Questa ipotesi è avvalorata dalla progressiva scomparsa della PSC e della PSA del cinghiale in quei territori nei quali il pascolo brado suino è stato messo sotto controllo, e dalla sequenza temporale inversa, negli stessi territori, delle segnalazioni di malattia nel suino e nel cinghiale. Anche nel 2004-2005 si è assistito al verificarsi di focolai di malattia nel domestico in alcuni comuni (ad esempio Bultei) nei quali era sicuramente assente la malattia nei cinghiali. In questi territori era nota la presenza di pascolo suino abusivo e, a distanza di alcuni mesi, si sono verificati casi di malattia nel selvatico. Viceversa, in passato le popolazioni di cinghiali insistenti in territori nei quali era nota la presenza di malattia si sono nel tempo liberate dall'infezione, senza l'adozione di misure specifiche, ma soltanto controllando il pascolo brado dei domestici. Resta comunque da tenere in considerazione il ruolo di serbatoio della malattia che le popolazioni di cinghiali possono svolgere per periodi di tempo limitati; la durata di tali periodi, nei vari casi, è condizionata da diversi fattori, tra i quali la dinamica di popolazione dei selvatici, l'attività venatoria - contrariamente a quanto si pensa comunemente, l'aumento della pressione venatoria non costituisce un fattore di controllo utile nei confronti della malattia - i fattori climatici e tutti i fattori che possano condizionarne le movimentazioni come incendi, siccità ecc. Non si può quindi trascurare di prendere in considerazione questo aspetto quando si voglia eradicare in maniera definitiva la malattia in territori dove si pratichi l'allevamento estensivo.

Documenti correlati
Stralcio da un bollettino ISMEA dei valori di mercato dei suini abbattuti (Fig. 1) [file.pdf]