Il trattamento convenzionale della talassemia major comprende la terapia trasfusionale, la terapia ferrochelante e in rari casi la splenectomia, ovvero l'asportazione della milza. L'obiettivo della terapia trasfusionale è quello di correggere l'anemia prevenendo l'insorgenza della cardiomiopatia congestizia e assicurando al paziente una crescita e uno sviluppo regolari, una buona qualità di vita e normale resistenza alle infezioni. Bloccando poi l'eccessiva attività del midollo osseo, le trasfusioni riducono le alterazioni scheletriche e contrastano l'eccessivo ingrandimento della milza. Il regime trasfusionale comunemente adottato è quello che prevede una trasfusione ogni 2-4 settimane, mantenendo l'emoglobina pretrasfusionale tra 9 e 10 g/dl. Il prodotto che si trasfonde è costituito da un concentrato eritrocitario privato di leucociti, piastrine e microaggregati tramite uso di filtri. Ogni sacca di sangue trasfusa viene controllata per escludere la presenza dei virus dell'epatite, dell'HIV e, sebbene non ancora annullato, il rischio di contrarre infezioni con le trasfusioni è oggi estremamente basso.
Quando le necessità trasfusionali sono superiori a 200-220 ml di globuli rossi/kg/anno in assenza di alloanticorpi, deve essere presa in considerazione la splenectomia. La splenectomia è terapia d'elezione anche in caso di ingrossamento della milza, splenomegalia, con rischio di rottura splenica e dolenzia o senso di peso in regione ipocondriaca sinistra. E' fortemente consigliabile che la splenectomia sia effettuata dopo i primi 5 anni di vita per l'aumentato rischio di infezioni gravi e sepsi sotto questa età. A qualsiasi età, inoltre, sono raccomandate le vaccinazioni contro germi capsulati prima dell'intervento, e la profilassi antibiotica è opportuna per almeno 2 anni dopo la splenectomia.
Secondo lo schema trasfusionale raccomandato, un paziente affetto da beta-talassemia major introduce ogni anno con le trasfusioni 100-200 ml di globuli rossi puri/kg/anno equivalenti a 0.3-0.6 mg/kg/giorno di ferro. Il ferro, che non può essere eliminato dall'organismo in assenza di specifici chelanti, è altamente reattivo e capace di generare radicali liberi che possono danneggiare le membrane lipidiche e le strutture cellulari, determinando morte cellulare e fibrosi, quando siano superate le capacità di legame con molecole di trasporto e deposito come la transferrina e la ferritina. Il fegato può accumulare grandi quantità di questo metallo senza manifestare segni clinici di danno per lungo tempo, mentre organi particolarmente suscettibili all'azione dannosa del ferro sono le ghiandole endocrine (l'ipofisi, la tiroide, la paratiroide e il pancreas) e il cuore. Lo scompenso cardiaco costituisce ancora oggi la causa più frequente di morte nel paziente talassemico.
Con l'introduzione alla fine degli anni '70 del chelante desferrioxamina, la mortalità e le complicanze legate all'accumulo di ferro sono drasticamente diminuite. Per la grandezza della molecola, tuttavia, la desferrioxamina è scarsamente assorbita dall'intestino e, in considerazione della sua breve emivita (circa 20 min.), deve essere somministrata per via sottocutanea, tramite pompa ad infusione, per 5-7 giorni/settimana, 10-24 ore/giorno, in rapporto al grado di accumulo di ferro. La scarsa praticità nella via di somministrazione, che si ripercuote drasticamente sulla qualità di vita, rende ragione dalla bassa compliance alla terapia chelante in una parte rilevante di pazienti. Per questo motivo, la ricerca si è indirizzata negli ultimi anni allo sviluppo di chelanti del ferro che oltre ad essere efficaci e sicuri, fossero anche somministrabili per via orale. Il deferiprone (Ferriprox) è il primo chelante orale entrato in commercio in Italia. Un altro chelante sempre orale, deferasirox (Exjade) è stato da poco approvato ed entrerà in commercio nei prossimi mesi. Un terzo chelante, deferitrina, è in fase avanzata di sperimentazione. Va sottolineato che l'Ospedale Regionale per le Microcitemie di Cagliari, ha partecipato e partecipa attivamente alle sperimentazioni cliniche che hanno consentito l'approvazione dei chelanti orali da parte delle agenzie regolatorie.
L'unica possibilità di cura definitiva della talassemia è attualmente rappresentata dal trapianto di midollo osseo allogenico che, quando il donatore sia un familiare HLA identico, permette una sopravvivenza libera da malattia in oltre il 90 per cento dei pazienti in funzione anche di alcuni fattori quali l'età, la precedente ferrochelazione, le condizioni del fegato. Comunque, la probabilità di trovare un donatore HLA identico nella famiglia è inferiore al 30 per cento. In tutti gli altri casi il trapianto di midollo viene effettuato da donatore volontario compatibile, con risultati sempre più promettenti. Anche il trapianto da cordone, che offre il vantaggio dell' immediata disponibilità, dell'assenza di rischio per il donatore e del basso rischio di "graft versus host disease" - ovvero una reazione immunitaria - ha dato ottimi risultati.
Tra le prospettive terapeutiche della talassemia va ricordato un approccio alternativo consistente nell'individuare una terapia farmacologica capace di incrementare la concentrazione di emoglobina fetale e consentire così la sopravvivenza senza necessità di trasfusioni. Ma la soluzione definitiva è attesa con la terapia genica. Numerosi progressi si sono avuti negli ultimi anni nello sviluppo di vettori e di metodi di transduzione per la correzione del difetto genico dell'emoglobina con la terapia genica somatica, ma l'individuazione di un sistema sicuro, stabile e ad alta efficienza, appare ancora non immediato.