Per poter cambiare il farmaco che si assume normalmente con un farmaco equivalente è necessario l'intervento del proprio medico curante, che indicherà sulla ricetta il nome del farmaco generico corrispondente. Si possono ricevere informazioni anche direttamente dal proprio farmacista, che indicherà se esiste o meno l'equivalente del farmaco ''di marca'' che si sta assumendo.
Per i farmaci a totale carico del paziente (farmaci di classe C) è possibile sostituire il farmaco ''di marca'' prescritto sulla ricetta con uno equivalente: dal 31 maggio 2005, infatti, il farmacista deve informare l'acquirente dell'esistenza di un farmaco identico ma meno costoso e può consigliare la sostituzione, a meno che il medico abbia specificato sulla ricetta che il farmaco non è sostituibile.
Il farmaco equivalente non è molto diffuso in Italia. Attualmente i farmaci equivalenti coprono poco più del 10 per cento della spesa farmaceutica a carico del Servizio Sanitario Nazionale e il 21 per cento circa delle prescrizioni totali. Negli Stati Uniti e in Giappone, ma anche in alcuni paesi europei (Inghilterra, Germania, Francia e Paesi Bassi), i farmaci equivalenti sono commercializzati da più tempo e ci sono più farmaci liberi da brevetto. Le percentuali di vendita e di utilizzo, infatti, sono molto alte: tra il 22 per cento e il 50 per cento del mercato farmaceutico totale. Un risparmio davvero notevole per la popolazione.
Va anche detto che per l'industria farmaceutica, i farmaci equivalenti sono concorrenti temibili in quanto:
• fanno calare il fatturato dei farmaci ''di marca'';
• scoraggiano il ricorso a farmaci più nuovi e più costosi con lo stesso effetto curativo;
• impediscono la pubblicità indiretta dell'industria farmaceutica produttrice dei farmaci ''di marca''.
D'altra parte, però, il risparmio che si otterrebbe con la diffusione dei farmaci equivalenti significherebbe:
• risparmio notevole per i cittadini;
• disponibilità di risorse economiche maggiori, da investire in ricerca e servizi per la collettività.