Nei suini, sia nel maiale che nel cinghiale ammalato, vengono eliminate notevoli quantità di virus mediante secrezioni ed escrezioni, specialmente nei due giorni che precedono il picco febbrile. Le feci e le urine costituiscono gli escreti più pericolosi, soprattutto se contenenti sangue. Negli allevamenti di tipo intensivo la malattia diffonde rapidamente per contatto diretto. Studi effettuati in Africa sulla zecca Ornithodorus moubata porcinus e in Spagna l'Ornithodorus erraticus – entrambi non presenti in Sardegna - hanno confermato il ruolo chiave di questo vettore nella diffusione della malattia, in quanto rappresentano il serbatoio del virus. Il virus persiste negli artropodi per l'intero ciclo biologico, da uovo a larva a parassita adulto, e può essere trasmesso da un individuo all'altro per via venerea e transovarica. L'infezione nei suini domestici quindi si verifica sia per contatto diretto tra suino malato e suino sano, che attraverso il morso delle zecche. Un ruolo fondamentale per la persistenza del virus nelle aree endemiche è rappresentato dallo stabilirsi dello stato di portatore. Animali che superano la malattia e vanno incontro a una apparente guarigione clinica, in occasione di fattori stressanti possono andare incontro a riacutizzazione della malattia e nuova eliminazione di virus nell'ambiente.
La PSA si manifesta in forma iperacuta, acuta, subacuta, e cronica, oppure può assumere le caratteristiche dell'infezione subclinica. Nella malattia spontanea il periodo di incubazione è stimato in 2-15 giorni.
Dal punto di vista clinico i sintomi più comuni sono: barcollamento del treno posteriore, vomito, congiuntivite mucopurulenta, diarrea emorragica, cianosi ed emorragie cutanee con interessamento in particolare della regione addominale, del piatto delle cosce, del grugno e dei padiglioni auricolari.
Le lesioni più comuni sono costituite da emorragie di dimensioni ed entità variabili a carico della cute e degli organi interni con aumeno di volume dei linfonodi, la milza, che aumentata di volume fino a 4-5 volte rispetto al normale, assume un colorito piceo uniforme con la capsula tesa e la polpa defluente al taglio. Nei casi meno gravi invece può presentare infarti multipli.
Le sole manifestazioni cliniche e le lesioni anatomo-patologiche non permettono di differenziare la PSA dalla PSC o da altre malattie a carattere setticemico, per cui risultano indispensabili per la conferma di un eventuale sospetto gli esami di laboratorio che si basano sulla identificazione del virus (diagnosi diretta) o sulla rilevazione della presenza di anticorpi (diagnosi indiretta).
Nei confronti della malattia non esistono possibili cure, nè vaccini efficaci. Le misure internazionali di lotta alla malattia consistono essenzialmente in misure di eradicazione, che prevedono la diagnosi precoce, l'abbattimento di tutti i capi infetti, sospetti d'infezione e di contaminazione, disinfezioni e ove necessario disinfestazioni nei confronti delle zecche.
I vettori della malattia
Le zecche del tipo Ornithodorus spp., vettrici della malattia presenti anche in Spagna, non risultano presenti in Sardegna. Non sono disponibili studi più recenti, ma l'osservazione della dinamica dei focolai sembrerebbe indirettamente confermare questo dato, tendente a escludere il ruolo delle zecche nel determinismo dei focolai nel territorio regionale. Infatti, non risultano recidive di focolai a breve e medio termine in seguito a ripopolamento di allevamenti sottoposti ad abbattimento.
Il ruolo dei vettori meccanici (mosche, tabanidi, cornacchie, gabbiani, piccioni, volpi, cani ecc.) è stato spesso chiamato in causa nel determinismo di focolai per i quali non si presentavano altre spiegazioni plausibili. Autori spagnoli ipotizzano in particolare un ruolo delle mosche e degli insetti
pungitori, sottolineando il fatto che, mentre il numero dei focolai primari tende a rimanere costante durante l'anno, la diffusione della malattia "si faceva incontenibile e di difficile gestione" nei mesi estivi, in coincidenza con i periodi di massima attività degli insetti volatori. Questo dato sembra
abbastanza sovrapponibile con quanto osservato in Sardegna, dove il picco di focolai stagionali tende a verificarsi sempre nei mesi di luglio e agosto. Sempre tra i vettori meccanici, non si possono infine trascurare indumenti degli operatori, attrezzature e mezzi meccanici e altri oggetti che, se contaminati, possono fungere da veicolo dell'infezione. La dimensione reale del ruolo dei vettori meccanici nella diffusione della malattia, che dovrebbe tuttavia trovare ulteriori conferme scientifiche, sembra essere in ogni caso limitata.
I fattori di rischio della peste suina in Sardegna
Le difficoltà incontrate nella lotta alla PSA sono correlate anche alla modalità di allevamento del suino nell'isola. Nelle zone interne della Sardegna, infatti, gli allevamenti di tipo intensivo sono presenti in numero assai ridotto, mentre sono molto diffuse le pratiche di allevamento tradizionale.
In particolare possiamo distinguere tre tipologie di allevamento suinicolo:
• allevamenti di tipo familiare, nei quali un piccolo numero di suini viene allevato in cortili o piccole porcilaie, finalizzati all'approvvigionamento del nucleo familiare;
• allevamenti complementari al seguito di greggi di ovini, formati generalmente da poche decine di soggetti, alimentati con i sottoprodotti della caseificazione del latte ovino, che seguono le greggi durante la transumanza;
• allevamenti bradi o semibradi, situati per lo più in provincia di Nuoro, su territori di proprietà dei comuni. Tali allevamenti, che possono raggiungere anche le 200-300 unità, sono situati in zone particolarmente impervie e di difficile accessibilità. In queste aree i suini sono liberi di pascolare in territori estesi, solo saltuariamente controllati dall'allevatore, e quindi hanno la possibilità di venire a contatto con un'ampia popolazione di cinghiali selvatici.